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La Matematica di Villa La Rotonda

Numeri.”Seicentoquaranta two duecentotrentuno hundred centonovantuno thousand milletré!” Questa è la sequenza che si svolge tra le colonne e sui gradini del podio di uno dei quattro portici di Villa Almerico-Capra, detta La Rotonda, che il regista Joseph Losey scelto, nel 1979, l’impostazione per Leporello la recita del “catalogo delle bellezze” e, per i più tragici nella sua versione cinematografica di Don Giovanni. Anche Palladio recitava i numeri ossessivamente nei disegni dei suoi Quattro Libri, dove questa villa, costruita nell’arco di vent’anni dal 1566 in poi, è rappresentata in pianta e in sezione-elevazione.

Piano di Villa La Rotonda

Piano di Villa La Rotonda

L’ideale disegno da quel momento si differenzia dall’attuale edificio, soprattutto in termini di ipotesi della cupola centrale (che dovrebbe essere più alto e illuminato da una lanterna), ma è un design che esprime chiaramente la base geometrica di questo tipo di architettura. C’è un cerchio, inscritto in un quadrato, in cui le divisioni degli ambienti interni sono soggette a regole di proporzione, formando il volume cubico che racchiude e nasconde il grande spazio circolare della sala centrale, un cubo su cui poggiano i cunei ancorandolo al suolo. Su ogni lato del cubo c’è un frontone del tempio, in un modo che elimina la solita gerarchia della facciata principale e del retro. All’interno, la variazione delle stanze è modesta e l’unico elemento di differenziazione assiale si riflette esclusivamente in un diverso numero di aperture sotto i portici. I disegni sono indifferenti all’orientamento, che in realtà è un esatto allineamento nord-sud sulla diagonale del cubo, e mostrano i fronti laterali e non quello rivolto verso la città, da dove arrivano le persone. Questa indifferenza al contesto accentua il rapporto eccezionale che questo edificio instaura con la sua posizione – un rapporto di opposizione geometrica, in contrasto con il modo in cui le altre ville palladiane abbracciano la campagna veneta.

Proporzioni.I trattati, i manuali e le storie dell’architettura, parlano di un modello universale, né casa né tempio né luogo né funzione, ma pura rappresentazione di dimensioni imponenti e di bellezza matematica – un catalogo di forme e
una sorta di esercizio della sintassi, “in equilibrio tra segno e immagine” come diceva Cesare Brandi. Un aspetto in cui anche Rudolf Wittkower, studioso dell’Istituto Warburg, sviluppò un vivo interesse, analizzando la villa nei suoi Principi architettonici e prendendosi la briga di ricostruire la diffusione dello stile palladiano in Europa. La sua lezione sarà portata a compimento dal suo giovane allievo Colin Rowe, autore della Matematica della Villa Ideale, in cui ha utilizzato i numeri e le proporzioni di Palladio per collegare la sua storia con l’opera di quell’architetto moderno per eccellenza, Le Corbusier. Descritta come “matematica, astratta, quadrangolare, senza funzione apparente e totalmente memorabile”, La Rotonda è stata paragonata alla Villa Savoye, così come le disposizioni di La Malcontenta erano con la Villa Stein a Garches. Le dimensionisviluppano in variazioni numeriche e astrazioni dalla casa, con puro volume e scomponibilità delle sue parti, in modi che possono essere paragonati a un montaggio didattico dell’antichità che il pensiero occidentale ha organizzato filosoficamente. Questo è stato ricostruito da Werner Oechslin attraverso lo studio del Palladio, una migrazione “dalla figura architettonica concreta alla forma, fino alla formalizzazione e infine al senso della forma”.

Il salone principale affrescato. (Courtesy Cameraphoto Arte, Venezia)

Il salone principale affrescato. (Courtesy Cameraphoto Arte, Venezia)

Figure. Sono quelle prodotte da Nicolò della nobile famiglia Valmarana, che da cento anni si occupa delle sorti e dei lavori della villa. Parlano di come il nostro patrimonio sia stato preservato da privati, senza il clamore che circonda i grandi restauri, ma nello sforzo quotidiano molto più impegnativo di una buona manutenzione. Ciò è stato fatto senza l’aiuto di altre nazioni-si pensi ad esempio alla Francia o alla Gran Bretagna-ma attraverso tasse sulla proprietà privata che non tengono conto degli investimenti fatti per restaurare tali capolavori e renderli accessibili. Andrea Valmarana decise di salvare la villa e di acquistarla nel 1912 e vi trascorse i mesi estivi fino agli anni ‘ 70, instillando l’amore per la casa nei suoi quattro figli. Lodovico avrebbe poi supervisionato i numerosi interventi di restauro dal 1976 in poi, e fu aiutato in questo dal figlio Nicolò. Mario, professore di storia ed esperto nel restauro dell’architettura, avrebbe continuato a insegnare alla Thomas Jefferson University of Virginia, il più interessante esempio di palladianesimo in America. La famiglia Valmarana sa cosa vuol dire vivere in questa “architettura matematica” – e dal 1980 hanno aperto la villa al pubblico e si sono presi la responsabilità della sua manutenzione. Si è iniziato con il tetto (anche grazie ai canoni del film di Losey), per poi passare agli interni, agli intonaci esterni, alle fondazioni e alla pulizia degli affreschi che decorano gli spazi interni monumentali del piano nobile e della cupola. Sono previsti ulteriori lavori. Questo complesso pezzo di architettura richiede una cura costante e per i proprietari l’impegno è notevole. D’altra parte la famiglia Valmarana è custode non solo di una delle parti più importanti del nostro patrimonio costruito, ma anche di un’icona senza tempo che non conosce confini.

Multipli. La villa è stata progettata per un cliente eccezionale, e la sua architettura è nata senza una posizione e senza una funzione, come pura rappresentazione. A sua immagine Palladio ha offerto una sintesi di un trattato teorico che trova chiara espressione nel disegno unitario e armonioso delle sue diverse parti. La classica frontone, preso da sacro e utilizzato per la prima volta in ambito domestico, Albertiano gestione del rapporto tra colonne e trabeazione e il muro e l’arco, la finestra di taglio nello spessore della parete, senza cornice, e il frontone finestra, tutti perfettamente controllata dalla padronanza delle misurazioni, i rapporti e le proporzioni delle modanature che l’anello di volume. Questo carattere particolare e universale – insieme sintesi e analisi-permetterebbe alla villa di avere molte più vite in molti altri luoghi. Luoghi immaginari e luoghi fisici: abbiamo visto non solo come la critica abbia “usato” Palladio e la villa per parlare di universali, ma anche come gli architetti abbiano continuato a sviluppare versioni adatte al proprio tempo e contesto. Per Inigo Jones, all’inizio del 17 ° secolo in Inghilterra, Palladio era un collegamento con l’antichità e la costruzione. Ha riportato una copia annotata dei quattro libri a Londra dal suo viaggio in Italia in cui ogni elemento è descritto fino alla sua componente materiale. Nel racconto delle colonne costruite in mattoni intonacati, con basi e capitelli in pietra, parla dell’economia della casa e del suo carattere iconico, che, ripreso nelle sue caratteristiche universali da Lord Burlington e dai successivi manuali, sarebbe diventato l’immagine per molte case di campagna, così come le residenze urbane, per l’aristocrazia. Per Jefferson questa sarebbe una rappresentazione della cultura, il simbolo che il presidente degli Stati Uniti cercava per le recenti istituzioni della sua nuova società, come le università, mentre la sua versione in legno rifletterebbe l’understatement delle cascine del Sud, i cui materiali e costruzioni poveri erano compensati dalla figura rappresentativa fornita da questa icona universale. La storia di queste interpretazioni, apparentemente così strettamente legate al linguaggio classico, sembrerebbe essersi interrotta bruscamente alla vigilia della modernità, se non fosse per il fatto che architetti e designer hanno scelto di concentrare la loro attenzione su un altro elemento essenziale, e senza tempo, della buona architettura: lo spazio. Luigi Moretti, nella serie di scritti basati sui suoi editoriali per la rivista Spazio, farà più volte riferimento a Palladio, fin dal primo numero. Ma è nell’ultimo testo, le ben note Strutture e Sequenze di Spazio, che Moretti dedica diverse pagine illustrate a La Rotonda. Con le immagini del suo distintivo, modelli in gesso, impressioni di spazio interno, che ci mostra, ancora una volta, Palladio genio nel controllo delle dimensioni, di collegamento tra le camere e le quattro aree di connessione tra interno ed esterno e della direzionalità del piano del paesaggio esterno verso l’interno dell’edificio, progettato per produrre le varie dilatazioni e compressioni degli spazi prima verso l’alto, l’espansione della cupola. “Quindi la sequenza chiave della Rotonda Palladiana è condotta da differenze di forma geometrica, quantità di volumi, densità di luce e – nel passaggio centrale – pressione.”In altre parole-queste sono le matematiche di La Rotonda.